lunedì 8 dicembre 2014

Elephas

Luigi Vitale Ensemble

Musicavitale


Del vibrafonista Luigi Vitale ho già avuto modo di scrivere recensendo otto anni fa, nel 2006, per il portale Jazzitalia, la sua prima incisione Cin-Cue (potete leggerla qui) con un parte dell'ensemble che lo accompagna in questo recentissimo Elephas. Era un quartetto con lo stesso Vitale al vibrafono e marimba, Gianni Virone ai sax soprano e tenore, Alessandro Fedrigo al basso acustico e Luca Carrara alla batteria e percussioni. A loro, nell'ensemble di oggi, si aggiungono Walter Vitale al sax contralto e clarinetto e Laura Zigaina al flauto e ottavino. Le buone premesse di quell'album si ritrovano in quest'ultimo, mentre in questo lasso di tempo che separa le due incisioni il vibrafonista è stato parte di altri progetti. Elephas è la naturale evoluzione di un progetto già delineato con assoluta chiarezza e determinazione, l'affermazione definitiva di un fine accostamento tra sonorità ricercate ed eleganti con ritmi world; tra le strutture articolate delle composizioni originali, tutte a firma del leader, e l'improvvisazione jazz. L'integrazione dei due nuovi componenti ingrossa la sezione fiati del combo arricchendo l'aspetto cantabile e armonico del linguaggio di Vitale. Le undici composizioni esibiscono temi raffinati sui quali si instaurano sinuosi dialoghi interattivi di pregevole fattura. Ottimi i soli, prevalentemente ad appannaggio di fiati, vibrafono e marimba, che occupano la parte centrale dei brani mentre sul versante ritmico le virate percussive di Carrara si accostano a meraviglia al singolare, quanto esclusivo, contributo di Fedrigo al basso acustico. Vitale conferma le sue già apprezzate qualità  che si estendono anche alla bontà della sua scrittura e i fiati del trio Virone-Vitale (Walter)-Zigaina si spartiscono il front-line. Dall’articolata title track che apre l’album, alla ritmica “Sottile” che lo chiude, si apprezza una produzione certamente meritevole di essere ascoltata. 


mercoledì 3 dicembre 2014

I’ve Been to Many Places

Matthew Shipp

Thirsty Ear


E’ fitta l’attività discografica del pianista Matthew Shipp che con questo cd torna al piano solo. Diciassette brani che celebrano l’empatia esclusiva tra lui e lo strumento attraverso un percorso sfaccettato in cui il musicista interpreta brani propri e rielaborazioni di frammenti e temi di brani altrui. Un album che nasce in un momento di riflessione sui vari filoni attraverso i quali Shipp ha sviluppato il suo pensiero musicale certamente affine al genere jazz ma aperto alla contaminazione con altri generi.  La traccia che da il titolo all’album è la prima delle selezione inclusa nel cd  e mi da l’illusoria sensazione che il nostro si trovi al cospetto di uno strumento sovradimensionato, tanto è intenso il flusso armonico e ritmico che man mano prende corpo. Fraseggi veloci, ritmicamente incalzanti  e aperture melodiche si susseguono in evolutiva continuità. Shipp è totalmente rapito dalla potenzialità sonora e musicale dello strumento e lo dimostra ancora di più con una personalissima versione della “Summertime” di Gerwhin, quasi un inno trionfante. Climax mutante con “Bian Stem Grammer” frenetico e cangiante; ambient minimalista in “Pre Formal”. Poi le delizie di “Waltz” struggente e danzante; il refrain velato di tristezza di “Reflex”; il frammento di lacerante bellezza di “Naima”; l’umore easy listening di “Where is The Love” e tanto altro ancora. Una saga del piano solo.

  Giuseppe Mavilla