venerdì 27 giugno 2014

Last Dance

Keith Jarrett / Charlie Haden

Ecm


Si ritrovano insieme dopo anni Keith Jarrett e Charlie Haden, in duo, piano e contrabbasso, e un'altro tassello si aggiunge all'ampia produzione discografica del singolare pianista americano. Anche in questo caso però si tratta del recupero di registrazioni del passato, anche se recente, della sua produzione e come spesso accade risulta difficile non essere attratti dal suo verbo jazz. Se poi accanto al nostro ritroviamo un contrabbassista del calibro di Charlie Haden l'incanto si ripropone anche al cospetto di alcune registrazioni, queste contenute nel cd, datate 2007 e realizzate nello studio privato di Jarrett. Una sorta di continuazione di quanto già ascoltato nell'album Jasmine, uscito nel 2010 e firmato dagli stessi. Nove noti standard, due dei quali “Where Can I go Without You” e “Goodbye” già presenti nel precedente, con una prevalenza di soffuse ballate intervallate dalle bobbistiche Round Midnight di Monk e Dance of the Infields di Powell. Standard straconosciuti che sembrano illuminarsi di una luce soffusa e ammaliante perché il pianista appare particolarmente ispirato, i suoi fraseggi sono intrisi di struggente liricità e Haden, al contrabbasso, puntella con la sua consueta maestria ogni passaggio, ogni porzione di quello che è un intenso interplay. Un dialogo fitto giocato, in egual modo, sia nell'ambito del temi che nelle parti improvvisate, senza sbavature o esagerazioni.   Un incontro informale nato per il solo piacere di suonare insieme, l’uno e l’altro intenti a tracciare un equilibrio espressivo  esclusivo dall’alto di una classe immensa con la quale sfogliano pagine immortali del grande songbook jazz.

sabato 21 giugno 2014

Holding It Down: The Veterans’ Dreams Project

Vijay Iyer & Mike Ladd

Pi


Come già vi avevo annunciato nell'ambito della recensione del cd Mutations, del pianista indiano Vijay Iyer, eccomi a raccontarvi di questo album che il nostro condivide con il produttore e operatore culturale, nonché rapper e poeta, Mike Ladd. Un progetto focalizzato su vicende che hanno riempito pagine di storia in questi ultimi anni, come le guerre in Iraq e in Afganistan. Ebbene, Ladd coadiuvato da Patricia McGregor, scrittrice e regista teatrale  ha incontrato alcuni suoi connazionali di colore, veterani di quelle guerre, intervistandoli e raccogliendo le impressioni di quelle esperienze che tradotte in linguaggio nudo e crudo si chiamano angosce, incubi e traumi, che i sopravvissuti si porteranno addosso per il resto della loro vita. Da questi incontri sono nati dei testi, a volte anche sottoforma di poesie, per le quali il pianista Iyer ha composto delle musiche. Il sodalizio fra quest'ultimo e Ladd non è nuovo ma risale al 2004 quando insieme realizzizzarono l’album In All Language al quale ha fatto seguito nel 2007 Still life With Commentator. Il primo si occupava del  dopo 11 settembre per la gente di colore negli aeroporti americani; il secondo sull'orgia di notizie che si succedono 24 ore su 24 quotidianamente. Questo, di cui sto scrivendo, che chiude una sorta di trilogia, è un album intenso, profondamente coinvolgente per le storie che propone, fortemente rievocative di fatti e riflessioni realmente vissuti. Le voci declamatorie sono quelle dello stesso Mike Ladd, di Maurice Decall, un poeta che ha servito le forze armate in Iraq, di Linn Hill, che ha militato nelle Forze Aeree americane per sei anni, compresi due anni di pilotaggio di droni sui cieli di Iraq e Afghanistan da una base situata a Las Vegas. E ancora per la parte musicale oltre a Iyer al pianoforte, al piano Rhodes e alle elettroniche, troviamo: Pamela Z alle voci e live processing; Guillermo E.Brown, voci ed effetti vocali; Liberty Ellman alle chitarre; Okkyung Lee al violoncello e Kassa Overall alla batteria. Diciassette gli episodi contenuti nel cd in cui voci, parole, suoni e ritmi incalzano l’ascoltatore in un variegato combinato di testi e musiche intriso di lancinanti recitativi, incursioni rap, umori hip hop, vorticosi crescendo armonico-vocali, sprazzi di modern jazz e ambient music. Risaltano in questo caleidoscopio sfaccettato ed eterogeneo le tragedie di queste guerre e i danni che hanno arrecato all’umanità. Dal punto di vista musicale si evidenzia ancora una volta l’irrefrenabile vena compositiva di Iyer, l'ampia visione dell’universo musicale contemporaneo e l' esclusiva sua  capacità di mescolare insieme espressività di varia estrazione culturale e temporale, sempre e comunque fortemente attuali.


mercoledì 4 giugno 2014

Obbligato

Tom Rainey

Intakt



Usiamo comunemente l'aggettivo “obbligato” per indicare qualcosa che non possiamo evitare, come ad esempio un percorso stradale o un compito da assolvere per forza di cose. Ma con “obbligato” si può descrive anche uno status di riconoscenza, verso qualcuno da cui si è ricevuta una cortesia estremamente gradita. Mi viene da pensare, non importa quanto ciò può esser vero, che il batterista Tom Rainey e il quintetto riunito per questo cd si siano sentiti in qualche modo obbligati ad omaggiare la tradizione, da qui il titolo usato, loro che oggi sono tra le punte di diamante della scena jazz internazionale. Il tutto si concretizza con la ripresa di alcuni degli standard piú importanti della storia della musica afroamericana ad opera di un combo che propone, accanto al batterista, Ralph Alessi alla tromba, Ingrid Laubrock al sax, Kris Davis al pianoforte e Dew Gress al contrabbasso. Cinque musicisti dalle peculiarità stilistiche ben definite e decisamente orientati verso ambiti di ricerca e innovazione del linguaggio jazz ma che in questo contesto sembrano concedersi una gioiosa pausa di riflessione. La ripresa si orienta su brani come “Just in Time” che in apertura delle selezioni ci introduce in flusso sonoro fluido e dialettico o sulla soffusa “In Your Own Sweet Way” firmata da Dave Brubeck, con i sinuosi e avvolgenti fraseggi dei due fiati e i contrappunti al pianoforte della Davis. Il quintetto non snatura l’essenza dei vari brani, non ne stravolge la struttura ma sceglie di reinterpretarli a proprio modo, giocando sulle qualità e sulle attitudine dei singoli musicisti in un gioco di reinvenzione dei brani che appaiono arricchiti da un esercizio improvvisativo costantemente attinente la geometria originale e le peculiarità armoniche dei brani stessi. Magistrali in tal senso le riproposizioni della monkiana “Reflections” o di “Prelude To A Kiss” di Ellington, introdotta da un solo di drumming, velato di umori tribali, ad opera di Rainey che accanto al raffinato Gress, al contrabbasso, da vita ad un’asse ritmico di rara pregevolezza. Suadenti  nel loro intreccio di dialoghi, in entrambi i brani, i due fiati e i fraseggi al pianoforte della Davis. Poi la virata  free-bop nella ripresa della “Yesterdays” di Kern ma il tutto appare ancora straordinariamente misurato e godibilissimo come solo i grandi musicisti sanno fare.

lunedì 2 giugno 2014

African Piano

Abdullah Ibrahim

Japo / Ecm


È la sera del 22 ottobre 1969 quando al Jazzhus Montmartre di Copenhagen è di scena Dollar Brand. Mentre prende posto al pianoforte c'è ancora un brusio in sala ma presto il musicista convoglierà a se l'attenzione dei presenti con “Bra Joe From Kilimanjaro” un brano con un ostinato di base gestito con la mano sinistra, mentre la destra é lasciata libera di improvvisare. Una sorta di magia sonora scende su quella sala, impinguata ben presto da una ragnatela di note ricche di pathos, di magia emozionale e soprattutto profumate di Africa. I brani su susseguono senza interruzioni, gli otto minuti e otto secondi di “Moon” appaiono fulminei, folk, soul, gospel, un pout-pourri di umori e sensazioni ipnotizzanti. Poi arriva l'atmosfera struggente di “Kippy” le cascate sonore di “Jabilani - Easter Joy” e il blues insinuante di “Tintiyana” che chiudono questi trentanove esclusivi minuti di quella lontana serata danese. Ebbene non invidiatemi! Non ero a Copenhagen quella sera ma a casa mia alle prese con i miei studi da primo anno di liceo scientifico e peraltro a quei tempi non ascoltavo jazz. E allora?....direte voi…..lo confesso! mi sono lasciato trasportare da questa riedizione di African Piano che condensa quei trentanove minuti di cui ho tentato di rendervi partecipi. Una riedizione di un vinile uscito nel 1973 su etichetta Japo, la stessa di questa riedizione, una sorta di sorella minore della major Ecm. Un vinile che uscì a nome di Dollar Brand perché il musicista non si era ancora convertito all’Islam e non aveva ancora assunto il nome di Abdullah Ibrahim che porta oggi e con il quale viene pubblicata questa riedizione visto che la prima versione in cd, edita direttamente dalla Ecm nel 1999, è ormai fuori catalogo. Un’occasione imperdibile per apprezzare un album seminale nella storia della musica afroamericana.